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in particolare, mi sto avvalendo della mia formazione americana
avvenuta soprattutto con Susan Batson (con cui ho studiato per diversi
anni, anche se in maniera non continuativa), arricchita da alcune
informazioni avute da altri (soprattutto esercizi e training) e poi
dagli stimolantissimi seminari italiani di Arthur Penn e Anatolij
Vasil'ev, più tutto quello che ho preso dalla mia esperienza,
osservazione, studi, libri (in particolare cito la funzione
fondamentale cha stanno avendo per lo sviluppo della mia didattica la
lettura di Michail Cechov, Roland Barthes e del prof. Raffaele Simone,
docente di Linguistica all'Università RomaTre, letture queste di
linguistica fatte prima a livello amatoriale e ora
universitario)...ecc. ecc., per creare una disciplina di lavoro e
allenamento che possa integrarsi con le tradizioni e consuetudini
esistenti in Italia e le "vivifichi" (o meglio vivifichi l'attore nel
relazionarsi ad esse e lo renda creativo in ogni contesto). Non pongo
soltanto l'attenzione sull'aspetto del Metodo che riguarda il "reale"
(che in Italia non è veramente richiesto essendo il lavoro dell'attore
basato principalmente sugli aspetti soprasegmentali del testo e il far
vedere piuttosto che il far succedere), ma sull'aspetto del Metodo
riguardante l'organicità degli impulsi, l'arco narrativo, le scelte e
le azioni, perché è quanto di più integrabile e sorprendentemente utile
ed utilizzabile con il sistema vigente e le richieste professionali,
sia in teatro che in cinema. In una parola, cerco di insegnare a "far
succedere" e poi a "far succedere" all'interno e nel rispetto degli
schemi imposti, rielaborando il sistema delle actions in funzione delle
direttive del regista, delle intenzioni dell'autore e delle
caratteristiche linguistiche e stilistiche del testo.
Attualmente e in ragione di quanto sopra le mie ricerche si sono
focalizzate sulla “creatività del gesto”: cioè sulla completezza
espressiva e contenutistica e sull'efficacia comunicativa del codice.
Per fare ciò assume un'importanza capitale nel mio lavoro il corretto
uso dell'immaginazione e del movimento funzionale, cioè delle funzioni
cognitive dell'apprendimento legate all'esperienza fisica di esse: sto
parlando del corpo dell'attore nella sua accezione più completa e della
sua bizzarra coincidenza di strumento e strumentista nel medesimo
tempo.
Infine mi sto occupando di problematiche relative al linguaggio e alla comunicazione”. |
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Scrivo "pedagoga", ma preferisco la parola al maschile altrimenti mi sembra suoni un po' bizzarra.
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Sono un pedagogo della recitazione, o acting trainer, come è denominazione più comune.
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Amo insegnare. Ho cominciato per due ragioni:
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- potevo osservare e fare ricerca nel mio campo e andare a scoprire
perché a volte i meccanismi espressivi si inceppano. Superare i miei
limiti avendo sempre e solo me stessa come “problema” mi aveva portato
ad un punto morto. Una porta chiusa. Con gli allievi invece mi venivano
intuizioni inaspettate e qualcosa dell'energia speciale della mia
maestra Susan Batson si sprigionava in classe. Capivo e trasformavo.
Era emozionante e ogni lezione densa di successivi sviluppi. Fertile.
Recitare diventava un oggetto di scambio, partecipazione, riflessione.
Qualcosa da offrire che al tempo stesso migliorava me e le mie di
prestazioni professionali. ______________________________
- mi autoproducevo il lavoro. Come attore autoprodursi il lavoro è
molto complicato, bisogna avere una salda sicurezza in chi sei e nei
tuoi mezzi. Conoscerti. Non ne ero ancora capace, né avevo mai trovato
durante i miei primi passi qualcuno in grado di insegnarmi la fiducia e
spronarmi alla creatività. La mia maestra aveva appena iniziato a farmi
fare la mia rivoluzione artistica. Sapevo come comportarmi ad un
provino sulla base di una richiesta specifica, questo sì, quel livello
di professionismo lo possedevo. Ma ideare un progetto, occupare un
teatro e farlo, no. Invece la mia immaginazione come insegnante creava
esercizi, processi di lavoro, concepiva spettacoli e scuole. Non si
fermava mai. Così la mia attività in questa direzione si è espansa
sempre di più.
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Ho una convizione: che non c'è traguardo che non si possa
raggiungere attraverso il lavoro e l'esercizio. Allora il punto è
capire che tipo di lavoro possa portare a quel traguardo. E poi
esercitarsi. Fermo restando alcuni principi metodologici, si tratta
solo di insistere nell'esercizio e arrivare fino in fondo. Cioè fino a
padroneggiare il proprio strumento. ______________________________
Essere attori non vuol dire che la scena viene da sé: istinto non
vuol dire assenza di pianificazione, né che la preparazione guasti la
forza d'impatto del risultato, queste sono illusioni. Ma non esiste
nemmeno un lavoro predeterminato che funziona per tutti. Bisogna
intuire cosa serve. Ecco, quest'intuizione è una delle mie maggiori
qualità pedagogiche. ______________________________
Questo punto di vista ha un rovescio della medaglia: che il
successo dipende da tenacia e disciplina. Che non ci sono scuse per
fermarsi e dire “non mi riesce”…Purtroppo non sempre è un punto di
vista bene accetto.
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Ma ho la totale fiducia nella riuscita del lavoro. E' una fiducia
che ho acquisito insegnando, me ne sono appropriata io come artista e
cerco di trasmetterla a chi studia con me. |
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